domenica 4 maggio 2014

Ainda a propósito da Revolução dos Cravos: o olhar de uma italiana

fotografia: Alfredo Cunha

Laura Ferrara, amiga de Portugal de longa data, partilha com os leitores da Via dei Portoghesi as suas memórias de uma sociedade em mudança. Bem haja, Laura!

Sono arrivata in Portogallo all'inizio del 1980. Del Paese sapevo soltanto quello che mi aveva raccontato mio marito, che ci aveva lavorato nei due anni immediatamente precedenti la Rivoluzione dei Garofani; di quest'ultima, invece, sapevo qualcosa di più: da studentessa impegnata politicamente, anni prima avevo sfilato per le strade di Roma con tanti giovani entusiasti come me, portando un garofano rosso fra i capelli; festeggiavamo una vittoria della democrazia in un periodo nero che aveva visto in pochi anni la presa di potere di tanti regimi forti. 
E quindi eccomi sposa e madre in una casa circondata da un giardino, nella cittadina di Parede, conosciuta per una clinica affacciata sul mare in cui era andato a curarsi anche il mitico Pereira di Tabucchi. 
Se mi fossi trasferita sulla Luna, non mi sarei sentita più stranita: non capivo una parola di portoghese, non avevo ancora amici, e dovevo cavarmela da sola con due bambini ancora in fasce. La prima cosa a colpirmi fu il silenzio: niente sirene di autoambulanze, nessuna clacksonata improvvisa, nessuna voce con tono alterato. E poi il mangiare: pesce vivo di tutti i tipi, pesce grande dai nomi esotici e misteriosi che le donne del mercato mi incoraggiavano a comprare gridando "Garopamadame garopamadame". Mi ci è voluto un po' per capire che "garoupa" era il nome del pescione che tenevano per la coda  e la "madame" invece sarei stata io.
Allora tutte le signore straniere erano "madame" qualchecosa, ma si sa che i portoghesi hanno delle forme di cortesia elaborate e fantasiose. Quindi, un po' alla volta mi trasformai in madame Ferrara, dona Laura, minha senhora, sempre più meravigliata e sperduta in un mondo di feste, ristoranti famosi, camerieri in guanti bianchi, empregadas, jardineiros, padeiros, cozinheiras e vari personaggi ausiliari, sconosciuti nella mia realtà italiana ma apparentemente indispensabili nella nuova realtà portoghese. Non avevo la minima idea su come gestire la mia piccola corte domestica, procuratami con molta buona volontà da una signora della buona società lisbonense,  che probabilmente trovava inconcepibile che io potessi (o addirittura volessi) cavarmela da sola fra casa e bambini. 
Per prima arriva la "babà" per i miei piccoli, una donna piccola e tonda, con un viso perfetto e dei magnifici capelli neri tagliati a caschetto. Si chiama Rita,  è analfabeta e parla un portoghese impreciso e colorito; io sto peggio di lei in fatto di competenze linguistiche, perché non mi rendo conto che sto imparando ad orecchio una lingua impraticabile al di fuori del mio piccolo mondo domestico. Iniziano le schermaglie perché io insisto a chiamarla Dona Rita, visto che ha l'età per essere mia madre, e lei dice che non va bene. Ma non ci riesco proprio e subentra un regime di semi-uguaglianza, dove tutte e due siamo Dona, ma lei vive quasi nascosta dietro le porte e insiste a fare tutto, ma proprio tutto in casa. Rita ormai è vecchissima, ha qualche capelli bianco e ancora pensa ai miei figli come a "os meninos da Rita"; per noi tutti di famiglia, lei occupa degnamente il posto di una meravigliosa nonna. Oltre a Rita arriva "sor António, jardineiro", che si toglie il berretto ogni volta che mi vede e si rifiuta di accettare da me le disposizioni che riguardano il prato e le piante: prende ordini solo da "Sor Doutor": lui zappa a vanvera, perché mio marito non c'è mai durante il giorno, e alla fine si rassegna a prepararmi un orto. Due volte a settimana compare "a Dona Julia", abilissima sarta e stiratrice di fino. E poi sporadicamente appare "a Mané", cuoca mozambicana molto etnica e poco comprensibile, che produce torte esotiche e piatti speziati. Ogni mattina sento il richiamo "padeirinho à porta": fuori c'è un furgoncino bianco da cui il padeirinho (un ometto in effetti di modeste dimensioni, che di grande ha solo il sorriso), che mi porta pane fresco: "um pão saloio e duas carcaças". A volte mi porta un cesto di fichi, oppure nespole che raccoglie in giardino: non ha mai accettato un centesimo per i suoi regali. Piano piano mi abituo al nuovo ritmo, inizio a tirare fuori qualche frase senza far stringere i denti e strizzare gli occhi ai nostri conoscenti portoghesi e la sera mi siedo a vedere la novela di turno: inutile uscire prima che sia finita la puntata, visto che le strade e i ristoranti sono deserti; sono tutti incollati davanti alla televisione. Quando finisce la telenovela, si può uscire sicuri che i camerieri ci daranno un po' di attenzione. Dai ristoranti rinomati abbiamo spostato il nostro interesse sulla gastronomia della "tasca", una via di mezzo tra osteria e trattoria, dove il servizio è sempre cordiale, il mangiare fantastico, i prezzi incredibilmente bassi e l'atmosfera indubbiamente portoghese. Mi bastano due mesi per scoprire il fado; non mi bastano le note delle chitarre; devo capire cosa c'è dietro la voce di Amalia: compro dischi e ascolto la musica cercando di capire quale storia ispiri tanta passione. La sera sono stremata: i figli mi stroncano fisicamente e il fado emotivamente. 

Il primo impatto con la realtà portoghese - quella vera - l'ebbi durante un viaggio in macchina, da Lisbona verso Sagres. Ancora non esisteva l'autostrada e, dopo aver visto con meraviglia Alcácer do Sal cosparsa di nidi di cicogna, proseguimmo verso sud, verso Grandola. Poco fuori del paese fummo fermati da una lunga colonna di contadini vestiti di scuro e armati degli attrezzi del loro lavoro; a guidarli c'erano due vecchi carri armati di fattura sovietica, arrivati chissà come fino in Alentejo. C'erano tante donne, con lunghe gonne nere. Sfilavano, senzaprotestare, affinchè venisse attuata la distribuzione delle terre. Nessuno parlava, cantavano soltanto "Grandola, vila morena". E' stato allora che mi sono innamorata del Portogallo e della sua gente, fulminata dal silenzio dignitoso, dalla dicrezione e dalla riservatezza anche nella privazione e nella sofferenza. Al rientro a Lisbona, mi sono fatta raccontare la rivoluzione da chi l'aveva voluta e vissuta. Mi si è aperto davanti gli occhi un mondo completamente diverso da quello in cui credevo di vivere. Ovviamente ho chiesto a Rita e a Julia;  è   ironico adesso pensare che uno dei problemi della dittatura era che il popolo fosse ridotto a mangiare sardine e baccalà, secondo quello che mi dicevano loro. Ma il fattore scatenante non era stata solo la mancanza della libertà. C'era la questione annosa dei latifondi. La rivoluzione aveva promesso la distribuzione delle terre, i proprietari terrieri erano scappati quasi tutti in Brasile e le cose erano cambiate di poco. Mi ricordo che soltanto all'inizio degli anni '90 iniziarono a comparire personaggi con nomi altisonanti che, mentre il Paese arrancava verso la stabilità economica, avevano seguito l'esempio di João VI scappando in Brasile con tutto quello che avevano di valore. Ovviamente la mia esperienza é limitata al mio cerchio di conoscenze, ma fino ai segni di ripresa dopo l'entrata nella Comunità Europea, Lisbona e le zone circostanti si erano trasformate in colonia di lusso per i pochi fortunati che vivevano nel Giardino d'Europa. La vita era molto a buon mercato, i lussi lo erano ancora di più. 
Dal 1980 al 2005, il Portogallo - anche se a volte limitatamente al periodo estivo - è stato il Paese dove ho vissuto più a lungo.  Adesso mi sento "desterrata" e ho sempre il sogno di tornarci a vivere, di tornare a casa. 
Il mio Portogallo è fatto di fado e bagaço, è quello delle sardine all'aria aperta a giugno, delle lumache gustate sui tavolini di legno di una tasca, della carne de porco à alentejana, pataniscas, bolas de Berlim e bacalhau à Lagareiro. E i portoghesi che amo di più hanno le facce benevole di nonni buoni, vivono vicino alle piante di couve galega e mangiano caldo verde. E' un mondo che va scomparendo, se non è già scomparso del tutto, ma sono felice di averlo conosciuto.


2 commenti:

Luca ha detto...

Articolo molto bello, tem muita saudade, más sempre gosto de hístorias dessas.

Luca

Piresportugal ha detto...

Ho fato un percurso inverso, dal 1982 al 2012 ho vissuto quasi sempre in Italia, sono più portoghese che italiano e cerco collaborazione in diverse lingue per guadagnare online con una missione etica per um futuro migliore di Internet e nuove tecnologie. Chi vuole collaborare può inviarmi un email per piresportugal(at)hotmail.com.